La Calabria dimenticata dallo Stato che non si arrende, lo speciale di Buone Notizie sulla Calabria

In Calabria c’è anche un’economia buona che cresce faticosamente, crea lavoro e contribuisce a riempire un po’ del grande vuoto che le istituzioni di questa regione lasciano da sempre nel welfare: è quella generata dalle realtà del Terzo settore. In una regione che sta in fondo a quasi tutte le statistiche su capitale sociale, lavoro, benessere e qualità della vita, nel biennio 2015-2016 la presenza di organizzazioni del Terzo settore - secondo gli ultimi dati Istat disponibili - è cresciuta del 5,6 per cento. Sale nelle statistiche anche il lavoro nel non profit: +3,9 per cento di dipendenti e la crescita supera addirittura la media nazionale (+3,1); accostato ai numeri calabresi sulla disoccupazione, specie giovanile, il dato appare quasi incredibile.

«Anche in Calabria - spiega il presidente di Federsolidarietà Calabria, Giuseppe Peri - la cooperazione sociale è stata l’unica a mantenere e anche ampliare la produzione» . E aggiunge: «Possiamo dire senza ombra di dubbio che insieme con le associazioni di volontariato siamo i soli a tentare di mantenere unito il tessuto sociale, a fronte di una mancanza cronica delle istituzioni». Come spiega anche Luciano Squillaci, presidente della Federazione italiana comunità terapeutiche e responsabile di una comunità che si occupa di dipendenze: «Parte del sistema sanitario è commissariato da anni e le cooperative sociali vivono questo grave disagio. In un tale contesto socio-economico diventa importante essere presenti, fare da punto di riferimento anche per la legalità». «La Calabria - insiste Squillaci - è la prova che un Terzo settore pienamente sviluppato non può esistere senza un livello istituzionale maturo».

Questo viaggio nelle realtà solidali della Calabria in effetti non può prescindere da una severa analisi sull’arretratezza delle istituzioni a tutti i livelli. Basti pensare che la Regione non è ancora riuscita ad applicare la «Legge quadro per la realizzazione del sistema integrato di interventi e servizi sociali» (legge numero 328 del 2000: diciannove anni fa) e al divario di servizi sociali e sanitari fra la Calabria e il resto del Paese corrisponde un altro grande gap a livello territoriale, fra zona e zona. «Il non essere riusciti ancora ad applicare la normativa nazionale sui servizi sociali - riconosce l’assessore regionale al Welfare, Angela Robbe - limita molto anche il Terzo settore. Ci consentirebbe di uniformare i servizi, qualificarli e attuare monitoraggio e controllo».

L’attuale giunta regionale ci aveva finalmente provato, ma i Comuni di diverse zone hanno fatto ricorso al Tar a causa del loro inadeguato coinvolgimento nell’iter di attuazione e l’hanno vinto. La questione in punto di diritto è complicata, ma il timore principale degli enti locali - e anche delle strutture sociosanitarie presenti nella regione a macchia di leopardo - è in sostanza molto semplice: è quello di non avere la capacità finanziaria per compartecipare alla spesa; molti di loro sono commissariati per infiltrazioni mafiose o dissesto. Per questo è ancora tutto fermo. «Noi siamo pronti -aggiunge Robbe- a ricominciare a discutere i regolamenti con le strutture e gli enti locali».

La crescita del Terzo settore che i dati Istat hanno certificato è quindi ancora più rilevante in un contesto così particolare, ma anche piena di contraddizioni. «Una di queste -spiega il sociologo dell’Università Magna Graecia di Catanzaro, Cleto Corposanto- è la presenza numericamente importante di associazioni di ogni tipo. I calabresi sono passati da 100mila persone che facevano volontariato nel 1995 a 160mila che lo fanno oggi. Qui il volontariato è cresciuto di più rispetto al trend nazionale. La contraddizione sta nel fatto che una delle cause è la scarsità di lavoro: spesso in attesa di occupazione i giovani cercano percorsi associativi per fare qualcosa, per tenersi vivi, per non migrare. Anche il servizio civile assume una certa caratteristica di ammortizzare sociale, pur essendo un’esperienza di crescita importante». Contraddittoria o meno, tuttavia, la presenza dei volontari è una realtà imprescindibile. «Ci sono tante associazioni - afferma la direttrice del Centro Servizi al Volontariato di Cosenza Maria Carla Coscarella - che nascono per dare risposte ai bisogni nei contesti deboli. Donano generi alimentari o vestiti, aiutano i pazienti in contesti ospedalieri, fanno doposcuola per i bambini in difficoltà. Ma il volontariato non fa solo assistenza: da qualche tempo ha iniziato a lavorare su percorsi di uscita dalla condizione di bisogno con progetti di formazione, orientamento al lavoro, messa in rete. Non ci limitiamo a tamponare le situazioni di disagio».

Così nella provincia di Catanzaro, come nelle altre, molti giovani stanno facendo nascere associazioni culturali per cercare poi di trasformarle in imprese di turismo, escursioni e valorizzazione dell’ambiente e dei beni comuni. «È nella sanità - aggiunge Coscarella - che si fa maggiore fatica. Spesso manca quasi tutto e le associazioni devono occuparsi di comprare le poltroncine per le sale d’aspetto dei reparti e di organizzare l’ospitalità dei pazienti che viaggiano da una provincia all’altra per curarsi. Spesso sono i volontari a dedicarsi ai bisogni di persone che stanno due giorni su un lettino nei corridoi dei Pronto Soccorso». Stefano Morena è il direttore del Centro di Servizio al Volontariato di Catanzaro, che ha avviato il processo per fondersi con quelli di Crotone e Vibo Valentia. E spiega: «Se non ci fosse il volontariato in Calabria la situazione sarebbe ancora più critica». Il tutto, come se non bastasse, in silenzio: «Ancora non siamo in grado di mettere in evidenza l’impatto sui territori e far sentire adeguatamente la nostra voce».

«Quello che manca - riprende Corposanto - anche a causa dell’arretratezza istituzionale è una cultura imprenditoriale del Terzo settore che faccia resuscitare il welfare». «Il dinamismo c’è - racconta la presidente della cooperativa sociale Hermes 4.0 Federica Roccisano, che in passato ha ricoperto anche il ruolo di assessore regionale al Welfare- e in alcune zone della Locride, per esempio, operano realtà avanzatissime che fanno innovazione sociale. Ma la difficoltà ad attecchire in questo contesto è dura da contrastare, così come quella di fare rete e superare la frammentarietà». Per oltrepassare questi limiti negli ultimi anni si è rafforzata la presenza territoriale dei Forum del Terzo settore. «Prima di tutto - afferma il portavoce del Forum regionale del Terzo Settore Gianni Pensabene- per chiedere con forza l’attuazione della legge 328. Ma anche per unirci e crescere dal punto di vista delle competenze e della qualità dei servizi. Vogliamo dare rappresentanza reale e concreta a tutti i tavoli di lavoro a cui siamo chiamati. Non ci arrenderemo».

FONTE:  https://www.corriere.it/buone-notizie/19_maggio_06/calabria-dimenticata-stato-speciale-buone-notizie-edicola-gratis-2aeaf06a-7002-11e9-90a6-5e2915e36bd9.shtml